Da due, uno

Un matrimonio multiconfessionale tra Torino e Torre Pellice

È forse un teatro il matrimonio?

È un mistero e figura di una grande realtà;

se anche non lo rispetti, rispetta almeno ciò di cui è figura.

San Giovanni Crisostomo

Torino, con la discrezione che le è propria, mette a segno un altro primato di modernità.

Nei giorni 1 e 2 luglio 2017 Diego Daien Zani e Graziella Fallo hanno celebrato un doppio matrimonio con doppia liturgia, rispettivamente cattolica il primo giorno, e buddhista zen il secondo.

Diego, di professione barista, è un assiduo praticante buddhista di Tradizione Zen Sōtō, ha ricevuto l’ordinazione laica (Zaikè) e ricopre l’incarico di responsabile dell’Enku dōjō.

Graziella, invece, è cattolica devota e praticante, e ha manifestato la volontà di sposarsi presso la sua parrocchia, assistita dal suo confessore.

I due sacerdoti officianti sono stati don Corrado Fassio e il rev. Elena Seishin Viviani.

Non si è trattato di un matrimonio misto, poiché le singole liturgie non hanno subito mescolamenti o contaminazioni reciproche. A fare l’unione è stata la coppia medesima, e la celebrazione di due riti diversi consecutivamente.

Uno sposalizio di coniugi e di tradizioni religiose plurimillenarie.

Potremmo forse chiamarlo ‘matrimonio doppio’, in cui due confessioni si sono incontrate e confrontate sul piano dei riti, distinti nella forma, ma accomunati nella sostanza, vale a dire l’impegno reciproco di mantenersi in armonia e unità nel segno di un sacro vincolo.

Il rito cattolico si è svolto nella parrocchia dell’Assunzione di Maria Vergine al Lingotto, mentre la celebrazione buddhista (non ancora equiparata a titolo di liturgia confessionale dall’intesa fra Stato italiano e U.B.I.) si è svolta presso il Tempio Valdese di Prà del Torno, località Angrogna.

Questo rimarchevole dettaglio amplifica decisamente la risonanza dell’evento, e aggiunge un’ulteriore tradizione confessionale alla partecipazione multireligiosa occorsa in questo singolare matrimonio. Chiesa cattolica, Chiesa Valdese e Buddhismo Zen Sōtō si sono dunque incontrati e hanno cooperato affinché le volontà degli sposi di prestare giuramento entro le rispettive dimensioni confessionali fossero rispettate e onorate.

Beninteso, non è la prima volta che sul suolo italiano vengono celebrate nozze miste.

Presso le maggiori città, le tre confessioni monoteistiche (cristianesimo, ebraismo, islam) stanno da tempo cooperando per rendere possibile questo tipo di unioni, per evitare che una delle parti possa rinunciare a valorizzare la propria tradizione, se non addirittura essere obbligata a convertirsi per amore del coniuge.

Né è un esordio la celebrazione di un matrimonio buddhista. È noto che il monastero buddhista Zen Sōtō Shōbōzan Fudenji a Salsomaggiore Terme, da anni pratica liturgie in particolari momenti di passaggio. L’elemento di assoluta novità, e di primato, ancora una volta, subalpino sul territorio nazionale, risiede nel fatto che tre confessioni religiose, distanti per contenziosi storici, pratiche o concetti teologici fondanti, abbiano cooperato affinché tale matrimonio potesse effettivamente essere celebrato.

In sostanza, è la prima volta che si effettua un matrimonio cattolico-buddhista in un tempio valdese, o che un prete zen interviene affianco al parroco per benedire gli sposi in chiesa.

Una vera pietra miliare in tema di convivenza multi-culturale, nonché di modernità applicata alle liturgie religiose, visti e considerati i tempi.

Tale evento denuncia, altresì, una palese richiesta di mantenere, anzi, di far progredire ed evolvere l’importanza del rito nei momenti topici della vita dell’individuo.

Contrariamente a quanto spesso emerge dal dibattito pubblico comunemente inteso, ritualità e modernità non sono poli antitetici nella società in cui viviamo, ma possono benissimo convergere, se non identificarsi e rispecchiarsi vicendevolmente.

Il rito esprime la simbolizzazione del reale nella sua complessità e inemendabilità, e in questa operazione si rende parte integrante del reale esso stesso. Terreno fecondo di analisi antropologica, ma al contempo di sperimentazione, una tradizione religiosa è sempre incarnata in un cammino storico, e non è separata dal terreno sociale, politico, culturale in cui essa si incarna e prende le sue forme.

I caratteri che contraddistinguono l’età contemporanea (individualismo, laicismo, consumismo, multiculturalismo, relativismo, emancipazione delle donne e degli omosessuali) non cozzano, e meno che mai si pongono in antitesi, con la priorità dell’esigenza del rito in momenti significativi di passaggio della vita di una persona.

La base fondante del matrimonio, ben attestata già dal diritto romano, fa leva sulla consensualità cosciente dei coniugi capaci di intendere e di volere, che nessun’altra potestà può avocare o sostituire. La volontà dei singoli, dunque, è il sostrato irrinunciabile. Quanto al significato profondo, comune per le diverse tradizioni chiamate a officiare, è il richiamo alla trasformazione: due singoli diventano una coppia, un unico soggetto.

Il passaggio dalla dualità all’unità non annulla la dualità in quanto tale, ma la supera e le fornisce un’identità in condivisione, un valore e un’istanza superiore che trascende la distinzione individuale.

Tutto ciò non è solo dialettica, né filosofia astratta, ma è sempre stato lessico squisitamente religioso, materia sacra. E il rito, antenato illustre del teatro, è sì spettacolo, ma non può essere rubricato a mero gesticolare scenico, poiché esso è sempre stato il più efficace strumento per trasmettere senso superiore e continuità fondativa della comunità, entro la quale una coppia vive e dichiara il proprio amore e la propria fedeltà “a Dio e al mondo”.

(M.S.)